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Oh dottissimi amici! Per certo la peregrinezza de l’animo, de l’ingegno e de’costumi di questo re, da la condizione di quelli con che conversa facilmente si conosce. Ora spero che ogni cosa anderá bene.

Ercule. E chi son costoro che ti hanno fatto trarre un salto di allegrezza, che pare che tu non possi stare ne la pelle?

Esopo. Tu mi dimandi chi sono? Sono omini d’ogni mano, dotti, acuti, umani, faceti, pronti, eleganti, destri et esperti, che con tanta dolcezza dimostrano le condizioni de la vita umana e insegnano costumi e virtú, che chi con loro pratica, pare a pena che mal omo possa essere.

Ercule. Giá è bene il re di simil sorte et è umanissimo sopra tutto, e tale, che umanamente e in sé e in altri ogni umano atto e passione comporta, e solido piacere si piglia de le cose, ne le quali la vivacitá de l’ingegno riluce: e la sua pratica so certo ti piacerá.

Esopo. Tu mi dici bone novelle per certo. Andiamo dun- que dentro, eh’ io lo voglio presentare e voglio che al tutto a l’intimo mi conosca.

Plauto. Ecco Ercule con quella sua augusta presenza. Degna cosa è che l’adoriamo.

Luciano. Tu parli bene. Parmi comprendere che con lui sia Esopo nostro, e porta qualche cosa sotto. Come Ercule sia posto col re, andiamogli incontra e riceviamolo.

Ercule. Fatti inanzi, Esopo, parla ora al re e di’ ciò che tu vói.

Esopo. Le api, non solo da viole, meliloto e timo, ma ancor da spine e da cepolle e cardi la piú suave e miglior parte coglieno e servano, la qual poi da li omini per cibo e medicina si adopera. E tu, o re, questi mei novi frutti per un saggio di essi piglia, e con quello divino tuo iudizio, quale ciascun predica, a quello li adopera a che meglio ti servino, e loro e me nel tuo contubernio prego che accetti.

Re. Novi frutti veramente sono questi, e vago colore e suave odore hanno! Ma dimmi il lor nome e dove nascono e come.