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con sessanta galee e con messer Federico D’Oria suo ammiraglio li venne incontra, e fatto aspro fatto d’arme, fu rotto Federico e presi sei mila uomini e ventidue galee de le sue; e lui ancora aria potuto essere preso, se non che da’ catalani li fu dato largo al fuggire. E nondimeno non ebbe per tal rotta Carlo la Sicilia.

L’anno sequente Roberto terzogenito di Carlo, e duca di Calabria, di commissione del padre passò in Sicilia e prese Catania, e drieto a lui con una grande armata di sessanta galee andò Filippo principe di Taranto suo fratello: incontra ’1 quale andando per onorarlo l’armata di Roberto, che vacua stava a Catania, Tarmata de’ siciliani, intesa l’occasione, l’assaltò e prese e dissipò innanzi a li occhi di Filippo, in modo che poche galee a Catania si salvorno; e poi in un subito voltatasi a l’armata di Filippo, fatta una gran battaglia fu superiore, e Filippo fu preso e mandato in prigione a Palermo. Per le quali rotte non parendo a Roberto star ben securo in Sicilia, intendendo che Federico chiamato da’ siciliani veniva con un’altra armata di Catalogna, con quelle poche galee che erano rimaste lasciando Catania, passò in Italia.

Federico che per via aveva inteso la rotta data da li suoi siciliani a due armate de’ francesi, se ne tirò dritto a Messina, ove fatto convenire tutto il sforzo de l’isola, per terra e per mare «ad una determinata giornata passò in Calabria e in pochi di tutta quella provincia subiugò. Scrive bene alcuno autore che a questa seconda rotta di Filippo si trovò Federico, e fu a Trapani, il quale assediando per terra, Filippo fu rotto e preso da Federico: come la cosa si fusse, questo è certo che Filippo fu preso e le armate rotte, e Roberto in Italia tornò. In quel tempo che queste cose in Sicilia si faceano, il re Carlo, il padre del quale Carlo I e lui avevano tollerato circa cinquant’anni li saracini in Luceria sotto pagamento di tributo, deliberò non tollerarli pivi: onde propose un editto che qualunque saracino non voleva farsi cristiano potesse senza alcuna pena da ciascheduno essere morto, e chi voleva battezzarsi potesse ritenere la robba e restare. Questo editto