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capitolo settimo 449

trionali, e più specialmente da quelle di Bologna e di Ferrara, come per esempio il Mattei, il Bettazzoni, il Monari, il Felletti, il Delfini, il Bevilacqua, il Marsili, il Banzi, il Pizzoli, il Canonici, il Bofojidi, il Fagnoli, il Giovannardi, il Massei, e fra i marchegiani il Benedetti di Montevecchio, il Raughiasci Brancaleoni, il Ripanti, il Piccinini e qualche altro.

Ma, nondimeno, non mancava, fra i nuovi eletti, un gruppo di deputati più animosi ed ardenti, smaniosi di affrettarsi, con energiche e spedite provvisioni, sulla via di ogni civile progresso e già sfiduciati - dopo l’Allocuzione del 29 aprile - di poter vedere compiuta la grande impresa del nazionale riscatto con la cooperazione del Papato. Nessuno di quegli uomini, che cedevano sui banchi della sinistra, aveva ancora, forse, chiare ed esplicite opinioni repubblicane, anzi nessuno di essi, allorchè, l’Assemblea iniziava la sua opera legislativa, pensava alla possibilità di un Governo repubblicano1, sebbene tutti quegli uo-

  1. In questa mia affermazione ho frapposto l’avverbio forse, perchè sarebbe difficile garantire che nessuno di quei quindici uomini nell’intimo della sua coscienza non avesse sentimenti repubblicani: e sarebbe più difficile garantire ciò pei meno noti fra quegli uomini, dei quali, appunto perchè meno noti, riescirebbe più arduo afferrare e constatare le manifestazioni di pensiero. Ma dei più noti, quali lo Sterbini, l’Armellini, il Campello, il Torre, il Manzoni, il Rusconi ed il Mariani, si può, dagli ulteriori atti loro e dalle loro parole dal 5 giugno fino alla convocazione della Costituente, non solo arguire legittimamente, ma dedurre logicamente che non pensavano punto alla repubblica, da tutti accettata, poi, come una necessità che s’imponeva. Forse il principe di Canino era il solo della sinistra che, dopo l’allocuzione del 29 aprile, pensasse e tendesse alla repubblica; ma anche qui inserisco l’avverbio dubitativo forse, perchè la mia affermazione su questo proposito è più intuitiva che dimostrabile.
          Che poi allora, nessuno degli uomini più autorevoli in Roma, nè il Mamiani, nè il Galletti, nè l’Armellini, nè lo Sturbinetti, nè lo Sterbini, nè Ciceruacchio pensasse alla repubblica, non ostante che gli appassionati storici di parte papalina continuamente e gratuitamente affermino che esisteva una cospirazione rivoluzionaria, in cui ciascuno di quegli uomini rappresentava una parte concordata con gli altri, sarebbe agevolissimo dimostrare, esaminando - come, del resto, farò in seguito - gli atti posteriori di ciascuno di quegli uomini. Ma, come prove generiche, e - a mio giudizio - assai importanti, ne addurrò qui due, che confido saran trovate veramente tali anche dai miei lettori.
          La Pallade, cioè, il più rivoluzionario e il più audace fra i giornali che allora si pubblicassero in Roma, nel suo n. 235 del 4 maggio - cioè noi giorni in cui essa era più invelenita, contro i Cardinali e i preti, a causa della Allocuzione pronunciata dal Papa e la quale teneva ancora in fermento tutta la cittadinanza - dopo aver riprodotto dal giornale La Riforma, sotto la data di Milano 26 aprile, la notizia che: «il Mazzini pubblicherà qui fra breve un nuovo giornale che avrà per titolo: Associazione Nazionale Italiana», la