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98 ciceruacchio e don pirlone


   Deh; nel fôro serbi Temide
Più solenni e rito e forma
E più rette ella da provvide
Leggi or s'abbia ed arte e norma;
Così il dardo della pena
Su le colpe che essa infrena
Scenderà da un'equa man.

   De la plebe anco più ignobile
Sia men rude il cuor, l'ingegno,
E d'uscir d'umana origine
Così mostri aperto segno;
Non di giuste opre leggiadre,
Ignoranza è sol rea madre
D'ogni colpa la più vil.

Cosi questo poeta, non soltanto non si accontenta della sola amnistia, ma vuole una serie complessa di riforme nelle comunicazioni nazionali e internazionali, nei commerci, nelle leggi civili e penali, nell’istruzione e nella educazione popolare.

Ma a cantare le lodi di Pio IX, ad applaudire il suo editto del perdono, ad eccitarlo a proseguire sulla via delle riforme e del progresso non si levavan soltanto vescovi e frati, accademici ed arcadi, scienziati e professori, ma dal seno stesso delle plaudenti popolazioni uscivano valorosi giovani della borghesia, quali il dottor Pietro Guerrini, il dottor Giuseppe Checchetelli, romani ambidue, il dottor Pietro Sterbini di Vico nel Lazio, il dottor Filippo Meucci di Santo Polo dei Cavalieri, il dottor Luigi Masi di Perugia, e anche dalle file della plebe il poeta dialettale Giuseppe Benai e uno spontaneo dicitore in rima, Giuseppe Rosi nativo di Ussito di Visso, circondario di Camerino, celebrato e notissimo a quei dì sotto il nome di Poeta pastore, perchè pastore realmente egli era, conducendo le mandrie dall’Appennino a pascolare nelle praterie della campagna romana.

Il dottor Pietro Guerrini era nato a Roma nel 1821. A Roma aveva iniziato i suoi studi, che andò poi a compire nella università di Bologna, ove si addottorò in legge, e dove il suo animo ardente di affetto per la patria ebbe nutrimento di insegnamenti rivoluzionari, onde ben presto fu ascritto alle file della Giovine Italia, nelle quali rimase fido e operosissimo sino alla morte di Gregorio XVI, nella fratellanza di Roma.