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50 Chi l’ha detto? [188-190]

tionem inimicis suis» (Isaia, cap. LXVI, v. 6); ma nel concetto a due versi di Omero (Odissea, lib. III, v. 214-215), o meglio a due di Esiodo (Opere e giorni, ed. Flach, v. 761-762):

Φήμη δ’οὒτις πάμπαν ἀπόλλυται, ἥντινα πολλοὶ
λαοὶ φεμίζουσι· Θεός νύ τίς καὶ αὺτή.

cioè: «Fama vero nulla omnino perit, quam quidem multi populi divulgant: Dea sane quædam est et ipsa.» Questi versi divennero popolari in Grecia, poichè li troviamo più volte citati negli scrittori classici. Quanto alla sentenza Vox populi, vox Dei, la sua origine è anteriore al secolo VIII, poichè già Alcuino nel Capitulare admonitionis ad Carolum, § IX (nei Miscellanea del Baluzio, to. I, pag. 376, Paris, 1678) ricorda a Carlo Magno: «Nec audiendi qui solent dicere Vox populi, vox Dei, cum tumultuositas vulgi semper insaniæ proxima sit.»

La memoria delle buone gesta, dei gloriosi fatti vince la morte, come simboleggiò il Petrarca nel Trionfo della Fama, e specialmente restano a serbare il ricordo dei valorosi uomini le opere da essi fatte nei campi dell’arte, delle scienze, delle lettere. Per cui ben poteva dire

188.                  Non omnis moriar.1

il poeta che nell’ode medesima, conscio del valore dell’opera sua, aveva detto di sè:

189.        Exegi monumentum aere perennius.2

Giustamente di costoro può ripetersi quel che del Romagnosi scrisse il Giusti in quella sua fiera satira, La terra dei morti (str. 6):

190.                  Difatto, dopo morto
             È più vivo di prima.


  1. 188.   Non tutto morrò.
  2. 189.   Alzai un monumento più durevole del bronzo.