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MATTACCINI
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V
Un altro tuffo, infin che l’acqua scotta:
sbucciagli l’unghie, arrostigli i peloni;
fa’ ch’a schianze, a bitorzi, a vessiconi
gli si fregi la cherica e la cotta.
Ma quanto piú si tuffa, piú s’abbotta;
senti che gli gorgogliano i polmoni ;
vedi c’ha fuor la lingua, ha fuor gli occhioni:
e pur apre il beccaccio, e pur cingotta.
Oh va’, caccialo, Branco, in capponaia;
strappagli delle cosce i campanelli;
ed accioché l’umor gli si rasciuche,
ordina da mia parte alla massaia,
che qua e lá sul capo gli trivelli
e v’appicche parecchie sanguisuche;
e ’nfin dalle carruche
lo squassi in sulla fune. E se lo scrollo
non giova, o tu lo strozza, od io l’azzollo.
vi
Ve’ come fra le gambe il capo ingrotta,
come sta rannicchiato e coccoloni !
Certo, o sente i sonagli de’ falconi,
o patisce di fianco o d’epiglotta.
Forse ha podagre: oh! dagli una dirotta
di strecole, di sgrugni e di frugoni;
ma, per guarirlo degli strangoglioni,
fa’ che grilli e lueerte e sorci inghiotta.
Fi fi! che gli s’è mossa la cacaia.
Su, che ’l cui gli si turi e si suggelli,
che piú carte non schiccheri o ’mpacchiuche.
Tornisi un’altra volta alla caldaia;
che i fonti non intorbidi e i ruscelli
piú di Parnaso, o li suoi lauri imbruche;
delle cui sante puche
mentr’ io gli occhi gli annesto, e ’n fronte il bollo,,
fagli tu di busecchie un bel cocollo.