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poeta, e alcune forse che vengono attribuite al Porta, debbonsi infatti alla feconda vena del Grossi.

Anche il Grossi trovò un degno encomiatore nell’Azeglio, e noi riferiremo le parole di quel grande a cui nessuno senza ridicola presunzione potrebbe sostituire le proprie.

«Due parole del Grossi, amico raro e della cui perdita nessuno de’ suoi ha potuto mai darsi pace, ed io meno degli altri. Delle sue opere, del suo merito letterario non parlo. Le prime sono conosciute, il secondo è classificato come merita e nulla ormai lo può oscurare. Ma dell’uomo parlerò, che valeva assai più de’ suoi versi, per quanto eccellenti. Tomaso Grossi era di Bellano, bello e grosso borgo in riva al Lario, allo sbocco della Valsassina. Nasceva di gente onesta ma povera il 30 gennajo 1791.

«Un suo zio curato di Treviglio, giansenista della scuola del Tamburini, prese pensiero di lui, lo mantenne a Milano alle scuole, poi a Padova.

«All’Università cominciò ad aprirsegli la vena poetica, ma nel modo come s’apre ai valent’uomini anco nell’adolescenza.

«Non so a quale età precisamente fu messo nel collegio degli Oblati vicino a Lecco. Educazione rozza, quasi brutale, di poco latino e meno pietanze, non senza picchiate come codice disciplinare; tanto che il carattere di Grossi, ardito ed irruente, s’era inasprito ed era sempre ad azzuffarsi coi compagni. Ma siccome era