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A NEERA


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In quanto al romanzo, non avevo ancora un’idea precisa di quello che potevamo tentare, addentellandolo alla forma più sviluppata e quasi compiuta di esso, la francese. Uscivo allora allora dalla farraginosa lettura del Balzac; e i romanzi di questo, e Madame Bovary e i primi volumi dei Rougon-Macquart letti immediatamente dopo, non erano arrivati a fondersi così bene nella mia mente, da darmi il chiaro concetto della misura con cui si sarebbe potuto ottenere anche in Italia il resultato d’una narrazione originale. Era un esperimento nuovo, o quasi; avevamo dei timidi tentativi soltanto, e più del genere di Ottavio Feuillet che d’altro. Pareva che la nostra vita contemporanea sentisse una gran paura di apparire nell’arte allo stesso schietto modo ch’era apparsa nella novelle del Boccaccio, del Sacchetti e dei loro un po’ meno coraggiosi imitatori.

Il Tommaseo, che di quando in quando scattava con audacie proprio inaspettate in un ingegno come il suo, aveva scritto un breve racconto, pieno di efficacia, di osservazione fina ed arguta, ora troppo ingiustamente dimenticato; ma erasi arrestato a quell’unico saggio, intimidito forse dagli strilli dei soliti critici moralisti, che lo assordarono gridando da tutte le parti allo scandalo. Peccato! Da quel racconto si vede quanta attitudine egli avesse pel romanzo, se mai si fosse deliberato a provarvisi. La seconda parte specialmente ha una straordinaria forza di rappresentazione rapida, semplice, commo-