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fino allora; e da pochi minuti sentiva crescere la loro intimità.

— Non sarò importuno — disse. — Ma non mi scoraggi neppure. Aspetterò... Dunque è una cosa grave? — soggiunse tosto, vedendo inumidirsi di lagrime gli occhi di Giacinta.

— Da amico, non mi domandi altro — ella rispose, porgendogli una mano che Andrea strinse più volte. — Ha un mio segreto; lo conservi bene.

— Oh, stia sicura!

— Che serata dolce! — mormorò Giacinta dopo un pezzetto.

— Dolcissima!

Non dissero più nulla. E Giacinta rientrò in salotto.

La mattina dopo, Gerace, disteso sul canapè della sua camera, riandava col pensiero la scena della sera avanti, fumando e sorbendo distrattamente il caffè che gli si freddava sul tavolino.

La vecchia padrona di casa, abituata alla briosa parlantina del suo dozzinante, si aggirava per la stanza, sbattendo sul pavimento le ciabatte casalinghe con maggior rumore del solito. Ma Andrea, lasciando che spostasse inutilmente questo o quell’oggetto, e tornasse a fermarglisi dinanzi con le mani sui fianchi — seguitava in silenzio a riempir di fumo la stanza.

— Non ha dormito? — gli domandò finalmente la vecchia.

— Sì.

— Si sente male?

— No. Perchè?

— Non dice nulla!

— Vuol saperlo?