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appena, nervosamente agitati nei primi giri del ballo. Poi, quando questi si fecero più incalzanti, più rapidi:

— Sei ammutolito? — gli disse tutt’a un tratto Giacinta.

Andrea per poco non perdette l’equilibrio. Furon costretti a fermarsi, ansimanti, scansando il turbinìo delle altre coppie, fra la romorosa stretta dell’orchestra col trombone che urlava.

— Voglio parlarti! — ella aggiunse sotto voce.

— Perchè?

— Voglio parlarti.

— Ma dove?... Ma quando?

Egli balbettava; non sapeva contenersi. Ripresala per la vita, slanciossi di nuovo con lei nei furiosi giri del walzer, ripetendo:

— Dove? Quando?

Alla risposta di Giacinta, gli zufolarono gli orecchi, una nebbia gli velò gli occhi. Le loro mani convulsamente allacciate rispondevano ai violenti bàttiti dei loro cuori che picchiavano, l’uno contro il petto dell’altra, nell’intimità dell’abbraccio. Così eran rimasti soli, nel centro del salone, a far quel mulinello sotto gli occhi di tutti, con lo strascico dell’abito bianco di lei spiegato attorno a ventaglio.

— Vai subito?

— Sì.

E si fermarono davanti al conte Giulio che stava lì, in prima fila, ad ammirarli a bocca aperta.