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Come se Ronchi rispondesse a un’interrogazione del suo pensiero, intanto che guardava così fissamente miss Flower da imbarazzarla un po’. Già la vedeva modellata, a un terzo del vero, sul cavalletto, avvolta nel peplo; e ripeteva: — Sì, sì! — per affermare che non avrebbe potuto ritrarla altrimenti. Quella figura gli si era rapidamente fissata nell’immaginazione, da dargli l’impressione che non fosse una statua da fare, ma il ricordo di un lavoro da parecchio tempo compiuto.

— Quando vorrà; sono ai suoi ordini — disse. — Dovrà adattarsi a posare in questo misero studio.

— Misero, no davvero. Ci son tanti tesori! Tra due o tre giorni, se non le fa disturbo. Purchè io sia libera a metà del mese entrante; voglio essere a Londra pel compleanno di mia madre.

— Si stancherà....

— Non ho niente da fare. Sarà attraentissimo spettacolo vederla lavorare. Anzi, se non le dispiace....

Miss Flower si rivolse alla signora Pinotti, accennandole d’intervenire.

— Già — ella disse. — Miss Flower vorrebbe avere un ricordo.... Insomma si tratterebbe di prendere giorno per giorno delle fotografie.

— Voglio vedermi nascere, uscir fuori, di mano in mano, dal mucchio della creta sotto il magistero della sua stecca e delle sue dita.... Me lo permetterà?

— Diamine! È un’idea da fine artista.

— È poetessa la signorina. Peccato che scriva in inglese! Io non ne capisco niente.

E la signora Pinotti rise, stringendo affettuosamente la mano a miss Anna, che si era rizzata da sedere per meglio osservare il busto di vecchio a cui Efisio Ronchi stava lavorando al loro arrivo.