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Egli era diventato rosso in viso, sotto l’arruffata folta capigliatura grigia e tra la incolta barba dello stesso colore, che gli scendeva su lo sparato del camicione di tela grezza e quasi si confondeva con esso.

— Miss Anna Flower — soggiunse la signora — che ha voluto sorprendere un artista nell’ardore del lavoro... e nel disordine del suo studio.

— Oh!... In quanto a disordine! — fece Ronchi sorridendo argutamente.

— Noi profani — disse miss Flower — non sappiamo immaginarci il posto... l’ambiente dove l’artista si abbandona alla creazione delle sue opere. Ci figuriamo che debba essere qualcosa di strano, di suggestivo, di fantastico, e invece, ho visitato parecchi studi di artisti in voga, a Parigi, a Berlino, a Monaco, e ne ho avuto la cattiva impressione di locali arredati con ben calcolata astuzia per far colpo sui visitatori. Il vero artista ha il suo... studio dentro di sè.... Non so se dico bene.

— Dice benissimo.... Per lo meno, dovrebbe essere così. Ma non tutti gli artisti pensano e sentono a un modo, nè tutti possono sodisfare i propri gusti; la vita è tiranna.

— Avrete tempo di chiacchierare dopo — intervenne la signora Pinotti. — Intanto sappiate, caro Ronchi, che la signorina non è venuta soltanto per curiosità. Ha una commissione da darvi. Ve lo spiegherà lei.

— Un capriccio: il mio ritratto, un terzo del vero, con la persona drappeggiata nel peplo alla greca o alla romana. L’abito moderno, mutando di foggia ad ogni stagione, mi sembra che debba dare un’impronta di caducità all’opera d’arte. Non le pare?

— Sì, sì!