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La lettera del notaio non specificava niente. Si trattava di contante, di rendita dello Stato, di crediti, di terreni? Faceva male a non informarsene. Forse era necessario, era urgente andare a sbrigar tutto di persona in pochi giorni, e tornarsene poi tranquillamente lassù a rivivere con la sua bella Chimera.

E, non sentendosi disposto a continuare, prese in mano le ultime cartelle e lesse, dapprima scorrendole con gli occhi, poi pronunziando sottovoce, poi declamando a voce spiegata. Gli parve che qualche maligno genio gliene alterasse la forma, il significato; e riprese a rileggere quello che era il decimo canto, la decima lirica, dove il concetto del lavoro cominciava a spiegarsi, ad elevarsi, ad assumere un’intonazione profetica.... Non ne fu pienamente sodisfatto.

Lavorò, a sbalzi, un’altra nottata perchè il silenzio di quelle ore gli sembrava più propizio all’ispirazione; ma quando l’aurora inondò lo studio con la sua rosea luce, lo trovò occupato a raccogliere, a sistemare le molte pagine ammucchiate su una seggiola e sul tavolino, a piegarle e ad avvolgerle accuratamente con l’evidente intenzione di non dover riprenderle presto.

Pure, attese un altro giorno. Forse si era lasciato illudere da una spiegabilissima stanchezza fisica; forse non aveva ben calcolate le forze della sua resistenza intellettuale.... No! No!.... Probabilmente era destino che la sua vita prendesse un nuovo indirizzo, suo malgrado. Poteva anche darsi ch’egli dovesse attuare l’Ideale, da lui tanto fantasticato, non nell’Arte, nella Poesia, ma in quella realtà tanto sdegnata e disprezzata quando egli era quasi povero, e doveva chiedere al lavoro giornaliero, nei quotidiani e nelle riviste, il meschino mantenimento per la sua santa Mamma e per sè.