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E la guardava intenerito, mentre camminavano senza scambiare una parola, tornando da Gorla con quel plenilunio di Giugno, ridente su la vasta campagna addormentata.

Era l’ultima sera che Renato restava in Milano. Perciò ella aveva voluto accompagnarlo su, rassegnata al proprio sacrifizio.

Nel togliersi il cappellino tremava. Poi si era seduta sul canapè, passandosi nervosamente le mani su la faccia.

— Ci rivedremo un’altra volta?

— Perchè no? Fra quattro mesi.

— Oh, in quattro mesi chi sa quante cose accadranno! Potrò anche morire.

Si erano presi per mano, ma non si davano neppure un bacio, sorridendosi tristemente, con lunghi intervalli di silenzio.

— Che ore sono? — ella domandò.

— Le dodici e mezzo.

— Come si è fatto tardi!

Renato restava tuttavia seduto accanto a lei.

— Perchè non si leva il soprabito?

— Voglio accompagnarti fino al portone di casa.

Luigia stette un momento a fissarlo, sbarrando gli occhi, credendo di aver capito male, grosse lacrime le tremolavano irresolute su gli orli delle palpebre.

— È..... per vendicarsi di me?

— No, no, cara! — disse Renato. — Tutt’altro! — Tutt’altro!

Infatti era tutt’altro.

L’accompagnò fino al portone.

Soffriva, fisicamente, di quella rinuncia, ma nello stesso tempo era lieto del senso di squisita sensibilità e di elevatezza che gli faceva battere il cuore. Nel silenzio della via, Luigia intanto piangeva e sorrideva,