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prefazione XLIII

che, come aquila offesa, raccoglie il volo sul «Vulture fatale» e «a larghe ruote» esplora i colli e i piani d’Agri e di Sinno!1 È lui il «Viggianese»2 che, dopo il terremoto del 1857, erra per varie genti, sospirando le balze native, come nel suo proprio nome il poeta le sospira nel bellissimo «Salmo» sul medesimo flagello!3 Benedetto quel cuore, benedetto quell’immenso amor patrio, da cui viene alla sua figura come una luce e alla sua poesia come una virtù di cui nessuna critica, nessun mutamento di gusto, nessuna moda letteraria presente o futura potrà privarla giammai.

Una vera sintesi di tutti i suoi pensieri è quell’apostrofe al suo paese:

                  Come sei bella,
Terra de’ forti, or che distende il cielo
Un manto azzurro su le tue montagne,
E nel suo riso la recente luna
I tuoi boschi inargenta! A me diletta
Ride ogni itala zolla: eppur le tue
Aure bebbi vagendo, e nel tuo seno
Dormono i padri miei. Tutto a te diede

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  1. Al mare Jonio.
  2. Pag. 138.
  3. Pag. 33.