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212 appendice

IV


AGLI AMICI SUOI DI TOSCANA

(Dall’ediz. Firenze, Piatti, 1831)


La mia favola breve è già compita
E fornito il mio tempo a mezzo agli anni.
Petrarca.


Amici miei cari,

Firenze, 15 dicembre 1830.

Sia dedicato a voi questo libro, dove io cercava, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore, e col quale al presente (né posso giá dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi. Sperai che questi cari studi avrebbero sostentata la mia vecchiezza, e credetti colla perdita di tutti gli altri piaceri, di tutti gli altri beni della fanciullezza e della gioventú, avere acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura, mi fosse tolto. Ma io non aveva appena vent’anni, quando da quella infermitá di nervi e di viscere, che, privandomi della mia vita, non mi dá speranza della morte, quel mio solo bene fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre. Ben sapete che queste medesime carte io non ho potute leggere, e per emendarle m’è convenuto servirmi degli occhi e della mano d’altri. Non mi so piú dolere, miei cari amici; e la coscienza che ho della grandezza della mia infelicitá, non comporta l’uso delle querele. Ho perduto tutto: sono un tronco che sente e pena. Se non che in questo tempo ho acquistato voi: e la compagnia vostra, che m’è in luogo degli studi, e in luogo d’ogni diletto e d’ogni speranza, quasi compenserebbe i miei mali, se per la stessa infermitá mi fosse lecito di goderla quant’io vorrei, e s’io non conoscessi che la mia fortuna assai tosto mi priverá di questa ancora, costringendomi a consumar gli anni che mi avanzano, abbandonato da ogni conforto della civiltá, in un luogo dove assai meglio abitano i sepolti che i vivi. L’amor vostro mi rimarrá tuttavia, e mi durerá forse ancor dopo che il mio corpo, che giá non vive piú, sarà fatto cenere. Addio.

Il vostro Leopardi.