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nota 297


«Sed naturae artem illis ostendo unde et arcana inveniant et de alienis recte iudicent. Nec quidem animi unquam tranquillitas affluit mihi ex quo sciolus esse coepi, nec orbem pervagari datum fuit, quin nec coelum intueri, cum iam annis sedecim vel in carceribus latuerim vel persecutionibus laborarim; et si dicam viginti annos non mentiar».

Nello scrivere al Quarengo riprende il medesimo motivo:

«Il giudicio che fa di me, ch’io sia sopra Pico o qual Pico, è troppo alto per me... Io, signor mio, non ebbi mai li favori e grazie singulari di Pico... In bassa fortuna nacqui e dalli ventitré anni di mia vita sin ad ora, che n’ho trentanove da finire a settembre, sempre fui perseguitato e calunniato, da che scrissi contra Aristotile di diciotto anni; ma il colmo cominciò a ventitré con questo titolo: Quomodo literas scit cum non didicerit? Son otto anni continui che sto in man di nemici;... ed inanti a questi otto anni stetti in carceri piú volte, che non posso numerare un mese di vera libertá»1.

A me pare che il contesto dei due brani letti tutti interi, lungi dall’offrire elementi in favore della tesi del Gentile, ne offrano alcuni decisivi in contrario. Non ci fermiamo sul fatto che nella lettera allo Scioppio si parlerebbe di sedici anni di prigionia e non di quattordici, e cerchiamo di farci un’idea complessiva. Il concetto sostanziale di ambedue i brani è questo: sebbene sia stato tanto tempo segregato dal mondo, tuttavia con l’aiuto del mio intuito naturale sono riuscito a farmi una mia idea della scienza attraverso l’osservazione diretta delle cose. Questo contrapposto tra le difficoltá oppostegli dalla vita e il risultato raggiunto dalla sua intelligenza è messo in evidenza con una certa amplificazione rettorica: da ciò quella insistenza nel mettere in luce il lungo periodo di segregazione dal mondo. Non si tratta qui di fare un computo esatto degli anni di questa o quella sua detenzione, ma di dare l’impressione generale di una vita passata quasi tutta tra processi e carceri.

Infatti nella lettera allo Scioppio il Campanella non dice di essere stato in carcere per sedici anni continui, ma che per sedici anni continui era stato tormentato o da prigioni o da persecuzioni (cum iam annis sedecim vel in carceribus... vel persecutionibus...); ed accresce poi la voluta imprecisione della frase aggiungendo

  1. C., Lettere, ed. cit., pp. 124, 133.