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di rivedere e limare le opere delle quali l’Adami si andava procurando le copie, eccetto la Cantica, nella quale sicuramente egli stesso ebbe a fare la scelta delle poesie che furono poi pubblicate, ed ad aggiungervi le molte note che le corredano, comunque nel Syntagma leggasi attribuita all’Adami ogni cosa» (Am. Cast., I, pp. 153, 160, passim).

A conclusioni assai diverse giunse invece il Gentile, partendo non tanto dalla indicazione cronologica offerta dallo stesso poeta quanto da quella che si trova nel titolo: «Canzone ... fatta nel Caucaso».

Questa parola arcana la troviamo nel vestibolo del libro. Nell’ultima terzina del sonetto di proemio (n. 1: vedi p. 7; il poeta si paragona a Prometeo, e nella nota corrispondente, rimasta incompiuta, spiega: «Prometeo rubbò il fuoco, e fu però carcerato nel Caucaso, perché facea...».

Questo avvicinamento mitologico gli balenò alla mente nel periodo della carcerazione di rigore, che culminò negli anni d’imprigionamento nella fossa di Castel S. Elmo (1604-1608), ed in quel tempo l’usò di frequente anche nello scrivere lettere. Sono infatti datate «in Caucaso», «ex Caucaso» o «dal profondo del Caucaso» la lettera allo Scioppio, del giugno 1607, che costituisce la dedica-prefazione dell’Aheismus triumphatus; quella egualmente allo Scioppio del mese successivo «sul modo di evitare il calore estivo», e quella autobiografica, anch’essa del luglio 1607, a monsignor Quarengo1.

Il Gentile conclude che il ritrovarsi della medesima allusione in testa alla canzone a Berillo è una indicazione cronologica non meno esplicita, anzi piú precisa, che la poesia è del periodo della carcerazione in S. Elmo, quindi assai anteriore all’anno 1613.

Il Gentile rinforza la sua tesi con altri argomenti. La canzone è dedicata a un Berillo. Per il momento lasciamo in sospeso la questione, anch’essa controversa, di chi sia Berillo. Quello che importa per ora è di stabilire che anche questo Berillo, o Berillarius, alla latina, è nominato altrove sia dallo stesso Campanella, nella chiusa della sua opera De sensu rerum (nella redazione italiana), sia dallo Scioppio in una lettera, in cui si parla di lui come di persona che, essendo in rapporti personali col Campanella, potrebbe essere utile tramite tra questo e gli amici lontani. Ora,

  1. C., Lettere, ed. cit., pp. in, 130, 136.