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di un buon numero di componimenti poetici o intorno alla poetica, in maggior parte dispersi, anche per stabilire la data in cui il Campanella cominciò i suoi esperimenti di «poesia barbara», cavandone anche una precettistica. Di tutte queste poesie barbare non sono rimaste che quelle della Scelta ricordate dall’autore, le quali però appartengono al tempo posteriore della seconda prigionia, come risulta chiaramente dal contesto e dalle annotazioni del Campanella.

Riassumendo: allo stato presente delle conoscenze sull’argomento devono ritenersi perduti:

1. Tutti i poemi didascalici in latino;

2. Le «barbare» non comprese nella Scelta;

3. Una notevole quantitá di poesie volgari in metro ordinario, parte delle quali, per dichiarazione dello stesso autore, scritte per commissione o lasciate circolare sotto altro nome.

Un esiguo numero di poesie resta invece a testimoniare l’attivitá poetica del Campanella in quel tempo, e fu giá riconosciuto dall’Amabile in mezzo alla posteriore produzione sia della Scelta sia del Ms. Ponzio. Sono quelle intitolate: Al carcere (Scelta, n. 60, p. 106 di questa ed.), Sonetto fatto sopra uno che morse nel S. Uffizio (Postume, p. 211), All’Accademia d’Avviati di Roma (id., p. 215), A Cesare d’Este (id., p. 249), forse anche Alli defensori della filosofia greca (id., p. 218).

La seconda, la terza e la quarta portano, si può dire, sul viso la loro data. È l’argomento stesso, che ci mette sulla strada per trovarla. Cosi è chiaro che il sonetto contro Cesare d’Este si riferisce al momento del conflitto con Clemente VIII1 (novembre 1597), e intorno allo stesso tempo si può mettere il sonetto per l’Accademia di Avviati, quando cioè il Campanella era giá fuori delle carceri del S. Uffizio, ma viveva ancora in Roma sotto sorveglianza. Appartiene invece al periodo precedente della carcerazione la seconda poesia, scritta sotto l’impressione immediata delPavvenimento, e che con acute e valide ragioni l’Amabile collegò al sonetto Al carcere. Le oscure allusioni alla «gran scienza» e alla «morta gora», e la stessa riservatezza che lo consigliò a non aggiungere commenti a questa poesia; tutto porta a pensare che non si tratti del carcere napoletano, del quale invece il poeta parla sempre apertamente e qualche volta anche enfaticamente.

  1. Am. T. C., I, pp. 85, 89; III, p. 32.