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Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia

Per conquistar d’Ausonia il piú bel regno,
e poi adornarlo, Alfonso ne traspianta
da Valenza la ricca e nobil pianta,
cui Ferdinando die’ loco piú degno.
Qui tai frutti apportò, ch’umano ingegno,
qual sovra gli altri meglio scrive o canta,
di poter raccontarli non si vanta.
Che farò io, che poca virtú tegno?
Ippolita, germoglio piú gentile
de’ Cavanigli rami, tu mi dona
di Petrarca o Maron l’invitto stile,
o pur del Sannazzaro, che l’intuona
tant’altamente, ch’il mio verso umile
sol le tue grazie in me tante risuona.

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Sonetto alla medesima

Ippolita magnanima, in cui serba
l’alto valor de’ Cavanigli tuoi
della virtú i tesori, e Amor gli suoi,
come in un seme suo sta tutta un’erba;
hai presenza dignissima e superba,
che sembra armato esercito d’eroi;
maestosa bellezza, donde puoi
saldar ogni dolore e piaga acerba.
Generosa pietá, man liberale
al Sommo Ben ti fan simil cotanto,
che nata contro al mal ti giurarei.
Libero conversar, animo hai santo,
favellar grazioso e celestiale.
L’altre, femine son; tu donna sei.