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pena d’assicurare la porta. Là dentro si trovavano sessanta fucili belli e carichi; Garibaldi ne afferra uno e fa fuoco, poi un secondo, ed un terzo e tre nemici cadono esanimi al suolo.

Il colonnello Meringue, che non poteva mai più credere che il suo avversario si trovasse solo entro quel meschino recinto di tavole, tanto più che il cuoco si era pur messo a tirare e che ogni colpo dei due cadendo nella massa feriva od uccideva, dette ordine ai suoi di allontanarsi d’un centinajo di passi dal baraccone e di rispondere al fuoco che ne usciva.

Garibaldi allora si tenne per salvo, e lo era difatti. Siccome il cuciniere non sapeva mirar bene al pari di lui, e che in quella situazione non dovevasi sprecare veruna botta, il nostro eroe gli ordinò di contentarsi di ricaricare le armi scariche e di dargliele a misura dell’occorrenza, ben sicuro che i propri uomini, udendo lo scoppiettio della fucilata, non avrebber tardato ad accorrere.

Difatto, di là a non molto, uno ad uno, e passando con grandi stenti attraverso i tiragliatori nemici, tredici de’ soldati di Garibaldi gli furono a fianco e imitando l’efficacissimo esempio del loro condottiero, sostennero il fuoco durante cinque ore. Finalmente uno di quei valorosi pervenne a spezzare il braccio al colonnello Meringue; questi dette ordine allora di ritirata e partì trasportando seco i suoi feriti e lasciando quindici morti sul terreno.

Il nostro protagonista, dal canto proprio, de’ suoi tredici uomini ne aveva perduti cinque uccisi e cinque ne aveva pure feriti; de’ quali ultimi tre non tardarono poscia a perire.

Questo eroico fatto valse efficacemente ad accrescere fama al futuro trionfatore dell’Urban, sicchè quando si trattò di muovere una spedizione contro Santa Caterina, si pensò a lui, decidendo ch’ei vi prendesse attiva parte sotto gli ordini del generale Canavarro.

Siccome però non potevano i due barconi uscire dalla laguna, giacchè le imboccature di questa erano con forze preponderanti custodite dagl’imperiali, onde


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