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bazia di Lerino e dovevano essere unicamente alla sua giurisdizione sottomessi. I Sindaci negavano che l’Abbazia avesse il menomo diritto di giurisdizione ed anche in parte quello di proprietà. Dalle qui formolate pretese delle parti avversarie facilmente s’intenderà l’importanza vitale della questione insorta. Dopo vari litigi fu concordato un arbitrato. Il vescovo ed i consoli riuniti a pubblico parlamento, uditi vari testimoni, ed esaminati gli atti e titoli dai monaci prodotti, emavarono sentenza scritta per mano di Guglielmo di Sarzana assistito da quattro altri notai. Questa fu favorevole all’Abbazia. Si stabiliva che i possessi del castello di Seborga colle sue dipendenze aveano principio al sommo del Monte Negro e nel sito detto Elesebella e che seguivano indi il vallone del monte fino al passo del Gargo, poi per Roccascura, il passo di Lalona, il vallone di Batalho fino al territorio di Junco. Quanto era fra questi limiti compreso, era dominio e giurisdizione dell’Abbazia di Lerino e per nulla aveano da dipendere dal Comune di Ventimiglia; il possesso di Massatorta era pure dell’Abbazia, toltone il diritto al pascolo a favore di quei di Ventimiglia nei siti incolti; in quanto alle terre che l’abbate diceva estendersi fino al Podio, Apio, Cogalono, e la Roia, coi molini, prati, giardini, terre colte od incolte che stavano fra la porta del lago e le rocche di Paramura e luogo la via che esisteva al disopra della chiusa dei molini di S. Michele e sotto S. Stefano e verso Rolino, come pure tutte le case, campi, orti dell’Oliveto di S. Michele alle mura di Ventimiglia erano di appartenenza dell’Abbazia, all’eccezione sola dei fondi di Santa Maria e di S. Stefano. L’Abbazia aveva poi il diritto di prendere l’acqua d’irrigazione a mezzo di acquedotti ove meglio le tornava conveniente, dalla porta del lago alla Bevera. In quanto agli altri possedimenti dell’Abbazia indicati a dicta