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unta, circolava in tutti gli ambienti; le tavole strette e lunghe con le tovaglie chiazzate di macchie policrome, erano ingombre di piatti, di bottiglie, di alzate con frutta e dolci, e di cataste di tondi smessi, rabescati di leccature e di sughi.

Abbasso, nelle sale buie del pianterreno, si pigiava la clientela più alla mano, poco pretensiosa, e lì bisognava adattarsi nelle tavole strette gomito a gomito con due sconosciuti ai fianchi, ed un altro più sconosciuto in faccia, così dappresso da barattarsi il flato.

Sotto le tavole, gesummaria! un aggrovigliamento, un ripieno di gambe e di scarpacce, che non ci stava più una paglia.

E via uno che aveva finito, altri dieci che aspettavano alla queue, ustolando i posti vacanti.

Un chiasso di discorsi, di chiamate, di sghignazzate, una fumiggine grassa che avvolgeva ogni cosa, un via vai affaccendato, scomposto, di gente di servizio che dava in tavola, e portava via montagne di rosicchii maciullati.

Le finestre alte, claustrali, chiazzavano di chiarore scialbo le teste dei tavolanti; teste di ogni genere, incappellate; tipi e figure da ripieno, che parevano schizzate con tratti vigorosi da un dise-