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E così il professorino che era partito palliduccio, tornò livido, battuto, sfiaccolato dal suo viaggio nuziale, e qualche volta sentendosi pesto, intorpidito, pensava che le indigestioni sono sempre indigestioni, anche quando gli altri pagano il pranzo.

Inutile resistere all’impeto della Zina; quando le montava la fumana, bisognava lasciarsi buttare le braccia al collo dovunque, anche alla presenza di un pubblico internazionale, sul ponte di un piroscafo, alla luce del sole, in mezzo ad una sciamata di viaggiatrici inglesi o russe. Ed il professore a furia di assoggettarsi, a furia di sentirsi ripetere: paga il babbo, aveva perduto fin quel volgare pudore che qualche volta tiene in saviezza anche i cani della pubblica strada.

Mamma Segezzi non sapeva che piangere di consolazione, abbracciava la figlia, il marito, il genero, e tutti e quattro aggruppati in un mucchio, ricominciavano a scoccar baci, facendo accorrere tutti i gatti della locanda e del vicinato.

L’ostessa apparecchiava la tavola nella sala grande; il babbo Segezzi, preso da una vertigine di gioia, corse al pianoforte, che era lì aperto, e sgraffignò sulla tastiera, vaneggiando forse di poterne cavar fuori qualche cosa, e poscia afferrando