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dialogo primo 25

rimirar le lontanissime stelle, e gli erano mozze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder quello, che veramente là su si ritrovasse, e liberarsi da le chimere di quei, ch’essendo usciti dal fango e caverna de la terra, quasi Mercuri, ed Apollini discesi dal cielo, con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d’infinite pazzie, bestialità e vizii, corno di tante virtù, divinità e discipline, smorzando quel lume, che rendea divini ed eroici gli animi de’ nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de’ sofisti ed asini. Per il che già tanto tempo l’umana ragione oppressa, tal volta nel suo lucido intervallo piangendo la sua sì bassa condizione, a la divina e provida mente, che sempre nell’interno orecchio le susurra, si rivolge con simili accenti:

Chi salirà per me, madonna, in cielo,
A riportarne il mio perduto ingegno?


Or ecco quello, ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati li margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, che vi s’avesser potuto aggiungere, spere, per relazione de’ vani matematici, e cieco veder di filosofi volgari, così al cospetto d’ogni senso e ragione, con la chiave di solertissima inquisizione aperti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi alle talpe, illuminati i ciechi, che non possean fissar gli occhi e mirar l'imagin sua in tanti specchi, che da ogni lato li s’opponeano; sciolta la lingua a’ muti, che non sapeano e non ardivano esplicar gl’intricati sentimenti; risaldati i zoppi,