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cellente narratore, Bonvesino non ha certo inventato queste storie; in parte eran comprese nelle vite dei santi, in parte s'erano andate formando nel più recente medio evo e correvano per le bocche del popolo; ma i suoi racconti, a giudicare da quelli di cui si conoscon le origini, han sempre una freschezza e una schiettezza che li distinguono da tutte le altre redazioni.

Men varia è la vita di S. Alessio dove l'autore segue passo passo il testo in prosa che noi leggiamo negli atti dei santi pubblicati dai Bollandisti; ma di gran lunga a quesla superiore, per varietà di motivi e forza drammadica, è il racconto della passione di Giobbe: con innegabile senso di arte Bonvesino esprime il graduale precipitar del disgraziato di sventura in sventura sino all'estrema rovina e la sua rassegnazione che di mano in mano si trasformna in una vera voluttà del soffrire.

Pregi ben diversi che nelle pedestri rime del Bescapè ha il poemetto sul giudizio universale preceduto dalla descrizione dei quindici miracoli destinati a prannunziarlo. Bonvesino ha tocchi delicati là dove dipinge lo smarrimento dei peccatori davanti a Dio che sta per giudicare: la loro pena non gli inspira un rude compiacimento, ma un mite senso di pietà e si direbbe talora che egli soffra con loro: