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porgea la mano aita,
correva a l’altro il core,
ned io sapea con qual mi fussi intanto.
Clori.E che facesti al fin?
Celia.Quant’io potea.
E nulla omai potea.
Ma gli urli spaventosi, ond’il centauro,
fremendo contro il ciel, fea tra que’ lacci
tutta da lungi rimbombar la valle,
trasser ninfe e pastori in quella parte;
ove poich’ebber visto
duo sommersi nel sangue, una nel pianto,
tosto portaro ambo i feriti a casa
del buon vecchio Siren, padre d’Aminta.
Clori.E vivon ei? son risanati ancora?
Celia.Ciٍ non so dir.
Clori.Ma come?
curi dunque si poco
la vita di color che per tuo scampo
la vita non curar? Se’ ben ingrata !
Celia.Clori, non più: fia l’ora
del dovuto silenzio.
Dissi quanto chiedevi.
Or vado. — Oimè, che veggio?
Clori.Che vide là costei? per onde volse
cosi repente in altra parte il piede? —
O Celia, egli è un pastore, e sembra Aminta.
SCENA IV
Aminta.
Lodato il cielo, io torno
a ricalcar i campi,
a respirar a l’aura,
a rivedere il sole!