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al «paragone della secrezione» di porre l’attività psichica nel cervello come prodotto di condizioni materiali. Al contrario, erroneamente pare ch’essa desti l’idea che l’attività psichica derivata dalla struttura del cervello sia comprensibile nella sua natura come, con sufficientemente progredite cognizioni, si potrebbe comprendere la secrezione dalla struttura della glandola.

Ogni qualvolta in presenza di un sistema nervoso mancano le condizioni materiali per l’attività spirituale, come nelle piante, il naturalista non può ammettere una vita psichica, e ben di rado urta qui in qualche contraddizione. Ma che cosa si potrebbe opporgli se egli, prima d’acconsentire ad ammettere un’anima dell’universo, pretende che gli sia mostrato in qualche luogo del mondo ravvolto in neuroglia un nucleo di cellule ganglionari e di fibre nervose nutrite di sangue caldo arterioso a giusta pressione, provvisto di organi adatti e di nervi sensori, e corrispondente all’estensione delle capacità psichiche di tale anima?

Si presenta in conclusione la domanda se i due confini della nostra conoscenza della natura non siano forse uno solo ed identico, vale a dire se, dato che noi comprendessimo l’essenza della materia e della forza non comprenderemmo anche come la sostanza che ne è la base sotto certe condizioni sente, desidera e pensa. Senza dubbio questa concezione è la più semplice, e, secondo i noti sistemi di indagine, da preferirsi, fino a confutazione, a quella

E. Du Bois-Reymond - Sui confini della scienza 4