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[St. 27-30] libro iii. canto ii 27

         Queste arme fôr de la franca persona
     Che viene al mondo tanto racordata,
     De Ettor, dico io, che ben fu la corona
     De ogni virtute al mondo apregïata.
     Sua guarnison, di cui mo se ragiona,
     Priva è del scuto e priva de la spata.
     Ove stia il scuto, poco su se spiana;1
     La spata ha Orlando, e quella è Durindana.

         Forbite eran le piastre e luminose,
     Che apena soffre l’occhio di vederle,
     Frixate ad oro e pietre prezïose,
     Con rubini e smiraldi e grosse perle.
     Mandricardo ha le voglie disïose,
     Mille anni a lui pare de indosso averle;
     Guarda ogni arnese e lo usbergo d’intorno,
     Ma sopra a tutto l’elmo tanto adorno.2

         Questo avea de oro alla cima un leone,
     Con un breve d’argento entro una zampa;
     Di sotto a quel pur d’oro era il torchione,
     Con vinti sei fermagli de una stampa;
     Ma dritto nella fronte avea il carbone,
     Qual reluceva a guisa de una lampa,
     E facea lume, com’è sua natura,
     Per ogni canto de la grotta oscura.

         Mentre che il cavallier stava a mirare
     L’arme, che eran mirande senza fallo,
     Sentì dietro alle spalle risuonare
     Ne lo aprir de una porta di metallo.
     Voltosse, e vidde a sè più dame intrare,
     Che a copia ne venian menando un ballo,3
     Vestite a nova gala e strane zacare,
     Suonando dietro a lor zuffoli e gnacare.

  1. Mr. stia.
  2. Mr. e P. omm. a.
  3. T. e Mr. copia — T venia.