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26 orlando innamorato [St. 23-26]

         Lungo ha il drago il mostaccio e il dente bianco,
     E l’occhio par un foco che riluca;1
     Con quello azaffa il cavalliero al fianco,
     La piastra come pasta se manduca.2
     Lui se rivolge assai, ben che sia stanco,
     E rivolgendo cade in quella buca
     Ove uscia quel gran vento oltre misura:3
     Non è da dimandar s’egli ha paura.

         Ma sua ventura nel cader fu questa,
     Chè in altro modo da la morte è preso:
     Cadendo nel profondo con tempesta,
     Fiaccò il capo al serpente col suo peso,
     Sì che schiantar gli fie’ gli occhi di testa,
     Onde se sciolse e tutto s’è disteso;
     Dibattendo le code tutte quante,
     Rimase a terra morto in uno instante.

         Morto il serpente, or guarda il cavalliero
     La scura grotta de sopra e de intorno
     (Lucea un carbonchio a guisa de doppiero,
     Qual rendea lume come il sole al giorno):4
     La tomba era de un sasso tutto intiero,
     Ma quello era coperto e tanto adorno
     De ambra e corallo e de argento brunito,
     Che non si vede di quel sasso un dito.

         Avea nel mezo un palco edificato,
     De uno avorio bianchissimo e perfetto,
     E sopra un drapo azuro ad ôr, stellato,
     Posto come dossiero o capoletto.
     Parea là sopra un cavalliero armato,
     Che se posasse senza altro sospetto:
     Parea, dico, e non vi era; ogniom ben note:
     Sol vi eran l’arme, e dentro eran poi vuote.

  1. Mr. e P. par d’un.
  2. Mr. mannuca; P. manuca.
  3. P. Ond’uscia. 12. Mr. con (con il?) suo.
  4. P. com’il sole al mezzo.