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[St. 3-6] libro iii. canto viii 115

         La qual lasciai, se vi racorda, quando
     Sorse il gran crido al campo de’ Pagani,
     Talabalachi e timpani suonando,
     Corni di brongio ed instrumenti istrani,
     Alor che Brandimarte e il conte Orlando,
     Gionti ne’ poggi e riguardando e piani,
     Vider cotanta gente e tante schiere,
     Che un bosco par di lancie e di bandiere.

         Perchè sappiati il fatto tutto quanto,
     L’ordine è dato a ponto per quel giorno
     Di combatter Parigi in ogni canto,
     E lo assalto ordinato intorno intorno.
     De li Africani ogni om se dà più vanto,
     L’un più che l’altro se dimostra adorno;
     Chi promette a Macone, e chi lo giura,
     Passar de un salto sopra a quella mura.1

         Scale con rote e torre aveano assai,2
     Che se movean tirate per ingegno.
     Più nove cose non se vidder mai:
     Gatti texuti a vimine e di legno,3
     Baltresche di cor’ cotto ed arcolai,
     Ch’erano a rimirare un strano ordegno,
     Qual con romor se chiude e se disserra,
     E pietre e foco trà dentro alla terra.

         Da l’altra parte il nobile Danese,
     Che fatto è capitan per lo imperiere,
     Fa gran ripari ed ordina in diffese
     Saettamenti e mangani e petriere.
     Con gli occhi suoi veder vol lui palese,
     Chè con li altrui non guarda volentiere,4
     E sassi e travi e solfo e piombo e foco
     Per torre e merli assetta in ciascun loco.

  1. P. omm. a.
  2. Mr. e torce.
  3. P. omm. e.
  4. P. altri.