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[St. 35-38] libro ii. canto xxiii 389

         Ma non lo aspetta lui, che è impaurito;
     Mostrògli Sinagon ciò che ’l die’ fare,
     Et ebbe senno a pigliar bon partito.
     Ecco Grandonio, che un serpente pare:
     E gionse Avino, il giovanetto ardito,
     E sottosopra il fece trabuccare;
     Poi Belengero abatte in sul sabbione
     E sieco Avorio e il suo fratello Ottone.

         Gionse anche Serpentino a un’altra banda
     E scontrò il bon Ricardo paladino:
     For dello arcione alla campagna il manda;
     Nè qui se arresta e scontrase a Turpino,1
     E, benchè ’l prete a Dio se ricomanda,
     Pur fu abattuto da quel saracino.
     Rimescolata è tutta quella traccia,2
     Qua fugge questo, e là quell’altro caccia.

         Vidde Olivier Grandonio di Volterna,
     Che abatte sopra al campo gente tanta
     Che altri che lui non par che se discerna,
     E tutto è sangue dal capo alla pianta.
     Dicea Oliviero: O Maiestate Eterna,
     Io pur diffendo la tua Fede santa,
     Come far deggio, e il tuo culto divino;
     Dammi possanza contra al Saracino!

         Egli avea già racolta un’altra lanza
     Così dicendo, e con animo ardito
     Spronava il suo destrier con gran baldanza.
     Or non so dir se ben fusse seguito,
     Però che gionse il conte di Maganza,
     E per traverso ha il Saracin colpito;
     Non se guardando forse da quel lato,
     Tutto el distese fuor de arcione al prato.

  1. T., Ml. e P. qui.
  2. T. e Mr. Rimiscolata.