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296 orlando innamorato [St. 59-62]

         Ma per aver ristoro o compagnia
     A quel dolor che a morte la tirava,
     Struggendosi de amor, fu tanto ria,
     Che la fontana in tal modo affatava,
     Che ciascun, qual passasse in quella via,
     Se sopra a l’acqua ponto rimirava,
     Scorgea là dentro faccie di donzelle,
     Dolce ne gli atti e grazïose e belle.

         Queste han ne gli occhi lor cotanta grazia,
     Che chi le vede, mai non può partire,1
     Ma in fin convien che amando se disfazia,
     Et in quel prato è forza de morire.
     Ora ivi arivò già per sua disgrazia2
     Un re gentile, accorto e pien d’ardire,
     Quale era in compagnia de una sua dama:
     Lei Calidora e lui Larbin si chiama.

         Essendo questo alla fonte arivato,
     E dello incanto non essendo accorto,
     Per la falsa sembianza fu ingannato,
     E sopra l’erbe ivi rimase morto.
     La dama, che l’avea cotanto amato,
     Abandonata de ogni suo conforto,
     Si pose a lacrimare in quella riva,
     E star si vole insin che serà viva.3

         Questa è la dama che piangeva al sasso,
     E il ponte al cavallier facea guardare,
     Acciochè ogni altro che arivava al passo
     Non se potesse a quel fonte mirare.
     Da poi che il suo Larbin dolente e lasso
     Per quello incanto vidde consumare,
     Pietà gli prese de ogni altra persona,4
     E stassi al fonte, e mai non l’abandona.

  1. Mr. ma non può; P. vede non si può.
  2. Ml., Mr. e P. già per.
  3. Mr. volse — P. lì vuole.
  4. P. Pietà la.