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orlando innamorato |
[St. 27-30] |
Però stava quel re con trista ciera,
Guardando intorno per suspizïone.
A lui davanti, ne la mensa altiera,
Sopra de un ziglio d’oro era il carbone,
Che dava luce a guisa de lumiera,
Facendo lume per ogni cantone;
Et era il quadro di quella gran piazza
Per ciascun lato cinquecento braccia.
Tutta coperta de una pietra viva
Era la piazza e d’intorno serrata;
Per quattro porte di quella se usciva,
Ciascuna riccamente lavorata.
Non vi ha fenestra e d’ogni luce è priva,1
Se non che è dal carbone aluminata,
Qual rendeva là giù tanto splendore,2
Che a pena il sole al giorno l’ha maggiore.
Il conte, che di questo non ha cura,
Verso una porta prese il suo camino,
Ma quella nella entrata è tanto scura,
Che non sa dove andare il paladino.
Ritorna adietro e d’intorno procura
De l’altre uscite per ogni confino;
Tutte le cerca senza alcuna posa:
Ciascuna è più dolente e tenebrosa.
Mentre che pensa e sta tutto suspeso,
Andògli il core a quella pietra eletta,
Che nella mente parea foco acceso,
Onde a pigliarla corse con gran fretta;
Ma la figura che avea l’arco teso,
Subitamente scocca la saetta,
E gionse drittamente nel carbone,
Spargendo il lume a gran confusïone.
- ↑ Ml. e P. Non ha finestra.
- ↑ P. Che rendeva.