Pagina:Boetie - Il contr'uno o Della servitù volontaria.djvu/78

64 il contr’uno o della servitù volontaria


Ma il bello è a vedere quel che loro frutta sì gran tormento, e quel ch’e’ possono aspettarsi dal loro travaglio e dalla misera lor vita. Il popolo, novantanove per cento, del mal ch’e’ patisce non ne fa carico al tiranno, ma a coloro che lo governano. Di costoro i popoli, le nazioni, tutti a gara, fino i terrazzani, fino i contadini, ne sanno i nomi, fanno il novero di tutti i lor vizj, gli caricano di oltraggi, di vituperj, di maledizioni: ogni loro discorso, ogni lor voto è contro di essi: tutte le sventure, la peste, la fame, ci hanno colpa loro; e se qualche volta, per salvar l’apparenza, fanno loro onore, dentro di sè danno ad essi il malanno, e gli hanno in orrore come bestie feroci. Ecco bella gloria, ecco onore che della lor servitù e’ si acquistano appresso genti, delle quali quando ciascuno avesse un brano del lor corpo, io dico che e’ non se ne terrebbero paghe, nè mezze sollevate dalla lor pena. Ed anche dopo morti, coloro che vengono poi non sono sì indolenti che il nome di questi mangiapopoli non sia oscurato dall’inchiostro di mille penne, e la loro fama straziata da mille libri, e le ossa stesse, a mo’ di dire, strascinate fra’ posteri, a punirgli ancora in morte della loro scellerata vita.

Impariamo dunque una volta, impariamo a ben fare. Leviam gli occhi al cielo; o meglio, per l’onor nostro e per l’amore della virtù medesima, a Dio onnipotente, testimonio certo delle opere nostre, e giusto giudice de’ nostri falli. Io come io, penso, nè ho paura di sbagliare, non esserci cosa sì spiacevole a Dio, tutto buono e tutto liberale, che la tirannide; e che giù nell’inferno e’ serbi una pena apposta per i tiranni, e per i lor manutengoli.

fine del volumetto.