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ragguagli di parnaso 215


RAGGUAGLIO LXI

Domizio Corbulone, per alcune parole dette da lui nel suo governo di Pindo, le quali prima per pubblico editto da Apollo erano state dichiarate tiranniche, dalla quarantia criminale severamente essendo processato, con molta sua lode alla fine vien liberato.


Percioché la cittá di Pindo e tutto il suo popolatissimo tenitorio, per la soverchia piacevolezza usata da alcuni governatori che per lo passato vi sono stati, si era empiuta di numero grandissimo di sicari e di pericolose fazioni, le quali grandemente inquietavano la pace de’ buoni, la maestá d’Apollo, per frenar con l’esemplar castigo de’ piú sediziosi tanta licenza de’ suoi sudditi, due mesi sono mandò a quel governo il rigorosissimo Domizio Corbulone: il quale in pochi giorni si portò di modo, che da una somma sedizione in una pacifica quiete ridusse il popolo di quello Stato. Ed occorse che, chiedendo egli ad alcuni suoi confidenti in qual concetto egli fosse del popolo, liberamente gli fu risposto che il rigore che avea usato contro molti, di modo avea spaventato l’universale, che tutti l’odiavano. Per quella risposta fuor di modo si rallegrò Corbulone, e a quei suoi amorevoli rispose le trite parole: — «Oderint, dum metuant»: — le quali, come delitto capitalissimo, subito furono riportate ad Apollo. Malamente sentí Sua Maestá cosí atroce accusa, e commise la causa alla quarantia criminale: e perché per decreto di Sua Maestá, pubblicato molto tempo prima, è stato dichiarato che qualsivoglia prencipe, per legittimo, per naturale e per ereditario ch’egli si sia, che avesse ardito dir parole tanto insolenti e temerarie, incontanente incorresse nella pena d’esser tenuto, avuto e riputato un abbominevolissimo tiranno, e che gli officiali che, anco per inavvertenza, le si fossero lasciate uscir di bocca, venissero puniti di pena capitale, Corbulone dalla quarantia criminale fu citato ad informar la corte. Il quale il giorno seguente comparve avanti i giudici, da’ quali con severitá grande fu la