Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
446
TRADUZIONI
gare come merita. Io non ne ho mai piú veduto, né meno vorrei vederne di questi casi e di questi castighi.
Parmenone. — E con che faccia ha ardire di commettere una tanta empietá?
Pizia. — Ti par dunque che commetta empietá e che non abbia, per dir il vero, tutte le ragioni del mondo?
Parmenone. — Che ragioni? Non fanno essi il maggior torto a quel giovane, che mai fosse fatto ad uomo vivente? Chi trovò mai verginitá in casa di puttane?
Pizia. — Non parlar con meco di queste cose, ché non me ne intendo.
Parmenone. — Guarda, Pizia, acciò voi non potiate mai pretendere ignoranza, io vi fo sapere che quel giovane è figliuolo del mio padrone.
Pizia. — Come, figliuolo del tuo padrone? Dunque è fratello del signor Fedria nostro? Uh, scura me, tanto peggio dunque! Oh, poverina me, che non l’avrei voluto sapere!
Parmenone. — E però di’ pur a Taide, che non permetta che gli sia fatta ingiuria alcuna; ma perché io stesso non entro lá dentro?
Pizia. — Considera ben Parmenone al fatto tuo, che tu non cápiti male senza giovar a lui, perché quei di dentro sanno benissimo che tu sei stato autore di ogni mal seguito.
Parmenone. — Adunque, che partito sará il mio? Che farò io meschino? Ecco che veggio il vecchio mio padrone che torna di villa: glie ne dirò io, o no? Son risoluto dirgliene, sebben so che a me non può mancar un galeo, ma è necessario aiutar il signor Cherea, che non precipiti in qualche ruina di dove non si possa poi trar fuori. Insomma, da un cattivo principio sempre nasce un doloroso fine.
Pizia. — Farai bene: io entrarò in casa; tu racconta al padre quanto è seguito, acciò l’aiuti. Vedi che te l’ho pur attaccata a mio modo, come meritavi.