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sapere non meno ad essi che al mondo tutto il mestier della guerra esser gloriosissimo all’uomo che si esercitava per propagazione della vera religione e per libertá della patria, vituperosissimo e bestiale quando le armi si cingevano per farsi con esse nelle guerre offensive ministro dell’ambizione di un prencipe; e che allora in particolare egli era in colmo vergognoso e infame, quando altri guerreggiava al soldo di potentato straniero. Esarsero a questa dichiarazione di Apollo i prencipi e replicarono a Sua Maestá con quella piú efficace istanza che si richiedeva in negozio per essi di tanto rilievo che si degnasse, senz’altra distinzione di guerre giuste e ingiuste, sottigliezze inventate da scrupolosi sommisti e dai pedocchiosi pedantuzzi, dichiarare che l’arte militare era esercizio nobilissimo, virtuosissimo e proprio di re, poiché non si davano in rerum natura guerre ingiuste, non solo perché la raggione delle genti admette l’ipoteca speziale della spada sopra tutti gli Stati ne’ quali ella può adoperarsi, ma perché gli stessi letterati hanno confessato esser veridica la sentenza d’oro di Tacito, che: «in stimma fortuna id aequius quod validius» ( r ), essendo le leggi e i paragrafi stati inventati per dar le vigne e le case ai privati e il tribunale dell’armi per terminar le controversie dei regni, le quali con poco decoro si giudicarebbono dalla giustizia amministrata dalli spelati dottoruzzi, ma con molta reputazione si decideno con la violenza della spada maneggiata da quei re grandi, che non hanno paura delle tele dei ragni; e che le facoltá dei privati si consegnano a chi ha in esse migliori ragioni, e gl’imperi e i regni giuridicamente sono di chi piú può. Si intende per cosa certa da quei che si trovarono presenti a questo atto, che la Maestá d’Apollo all’impertinenza e sfacciata replica di quei prencipi si alterò talmente, che la sua sempre risplendente faccia non altrimenti si turbò, che se la luna, togliendoli la consolazione di puoter compitamente rimirar e illustrare l’amenissima regione de’ viventi, gli avesse fatto patir l’agonia del ti) [Tacito, nel libro XV degli Annali, cap. 1.]