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che mediocre, piú di quello che si conviene ad un uomo modesto; ma perché, per utili e curiose avendo V. S. illustrissima approvate queste mie vigilie, mi rendo sicuro che non si troverá uomo che non sia per stimare atto di somma temeritá l’ardire di censurarle: prencipe, nel quale l’altezza dell’ingegno, l’esquisitezza del giudicio, la copia di tutte le piú scelte scienze si vede che sono uguali alla grandezza del sangue, alla ricchezza del patrimonio col quale Iddio l’ha fatta nascere in questo mondo, che non solo io, al quale per esserle nato servidore l’aflfezione può abbagliare il giudicio, ma ognuno che l’ode discorrere sopra qualsivoglia materia piú elegante, talmente di V. S. illustrissima rimane ammirato, nonché appagato, che a piena bocca la celebra per uno di quei ben sensati libri vivi, che in poco tempo fanno dotti quelli che hanno fortuna di sentirli ragionare. Miracolo altrettanto maggiore, quanto in questi tempi presenti, ne’quali la somma felicitá degli uomini vien posta nel posseder molto, non nel saper assai, il veder un prencipe suo pari che veramente meriti il nobilissimo titolo di letterato, è tenuto portento rarissimo, mostro di natura singolare: e pur V. S. illustrissima fino dalla sua prima fanciullezza cosi sempre lia sudato per fare acquisto delle virtudi, e cosi vi si affatica ora, come se queste avessero dovuto essere il suo piú ricco patrimonio, e ora le acquistassero non solo il vitto, ma la riputazione. Ma, ritornando agl’interessi miei, son forzato palesar a V. S. illustrissima certo scrupolo che alcuna volta mi nasce nell’animo, il quale grandemente mi fa dubitare della certezza dell’esito felice di queste mie fatiche: ed è ch’Ella, di sicurissimo giudicio nella censura di qualsivoglia sorte di composizione,

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facilmente si sia potuta ingannare nelle cose mie. Grande appresso di me è la ragione che cosi m’induce a dubitare, perché nella lunga pratica ch’io ho di lei, piú volte mi sono avveduto