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84 | a messer francesco |
grazia d’Iddio ne sono più, i quali se mancassono tutti, credo che sia miglior consiglio ad uscio ad uscio addomandare il pane, che tornare al tuo Mecenate. Tua adunque e sua sia quella splendidissima sentina colla quale volle che io fussi della sua felicità partefice. Lui non avere creduto ch’io mi sia partito, è bugia; egli il credette, e grazioso li fu. Perocchè come e’ s’addiede che io non voleva scrivere favole per istorie, immantinente a lui odioso fui; e quantunque egli dica che e’ desidera ch’io torni, tu se’ ingannato se il credi. La compagnia e gli onori suoi (i quali quando non mi può dare dice che era per darmi, ma così magnificamente!) conosco ottimamente; e se nol conoscessi, mi giudicherei sciocco. Siensi suoi. Io con grandissimo onore mi penso essere tornato, poichè fatto è che partito mi sia da lui: la qual cosa il nostro Silvano sommamente commenda, e piange la sciocchezza del suo Simonide1. Per la qual cosa, s’io non credessi lui dovere scrivere, sarei proceduto in più lungo parlare.
E per venire quando che sia al fine, io tengo di certo alla breve ma asprissima tua lettera tu non avere aspettata sì lunga risposta; ma perocchè quella non sento dal tuo puro ingegno dettata, perchè io conosco le parole, conosco le malizie e la indegnazione conceputa dell’altrui retà, con la tua prima scritta, ogni concetto della mente mi parve da mandar fuori, il che fare non si poteva in poche lettere.
- ↑ Il Priore di S Apostolo, a cui è indirizzata la presente epistola.