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LIBRO UNDECIMO 395


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Nè ne’ giuochi olimpiaci giammai
     D’ulivo fu ghirlanda conceduta,
     Ovver ne’ pitii di lauro mai,
     O d’oppio ne’ nemei già ricevuta,
     O di pino negl’istmii, che d’assai
     Fosse a’ ricevitor così dovuta,
     Come in quel giuoco detto Cereale
     Di quercia l’ebbe Agamennone aguale.

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Poi fe’ subitamente Palemone,
     Là dove il rogo d’Arcita era stato,
     Edificar con mira operazione
     Un tempio grande e bello ed elevato,
     Il qual sacrò alla santa Giunone:
     Ed in quel volle che ’l cener guardato
     Fosse d’Arcita, in eterna memoria
     Del suo valore e della sua vittoria.

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Era quel tempio grande, com’è detto,
     E per più cose molto da lodare,
     Nel qual e’ fece per proprio diletto
     Tutti i casi d’Arcita storïare,
     E adornar di lavorio perfetto
     Da tal che ottimamente il seppe fare;
     Il quale i Greci rimirando spesso,
     Con giusto cor pietate avevan d’esso.