no. Delle quali, come ch’io fornito non mi sentissi, perciocchè nè senno nè prodezza nè gentilezza c’era, alla cortesia, quantunque il buono animo ci fosse, non ci avea di che farla; nondimeno, secondo la mia possibilità, a dover fare ogni cosa, per la quale io la sua grazia meritassi, mi disposi del tutto; e del piacer preso da me per la lettera ricevuta, per un’altra lettera, com’io seppi il meglio, la feci certa: nè poi sentii nè per sua lettera nè per ambasciata quello che io di ciò che scritto l’avea le paresse. Allora lo spirito disse: se più avanti in questo amore non è stato, che cagione ti induceva il dì trapassato, con tante lagrime con tanto dolore sì ferventemente per questo a disiderar di morire? Al quale io risposi: forse che il tacere sarebbe più onesto, ma non potendolti negare, poi ne domandi, tel pur dirò. Due cose erano quelle che quasi ad estrema disposizione m’aveano condotto: l’una fu il ravvedermi, che là dov’io alcun sentimento aver credeva, quasi una bestia senza intelletto m’avvidi ch’io era; e certo questo non è da turbarsene poco, avendo riguardo che io la maggior parte della mia vita abbi spesa in dovere qualche cosa sapere, e poi, quando il bisogno viene, trovarmi non saper nulla: l’altra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altrui che io di lei fossi innamorato; e in questo più volte crudele e pessima femmina la chiamai. Nella prima cosa mi trovai io in più modi stoltamente avere adoperato, e massimamente in creder troppo di leggieri così alte cose d’una femmina, come colui raccontava, senza altro vederne: e appresso per quelle, senza vedere nè dove nè come, ne’ lacciuoli d’amore incapestrarmi, e nelle mani d’una femmina