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fosse, riscaldò si con le sue parole i cuori de’ giovani di Gergenti, che, mosso il popolo a romore, uccisero con le pietre il tiranno e la perduta libertá racquistáro. E questo ho, senza piú, che poter dire del primo Zenone.

L’altro Zenone chi si fosse altrimenti né donde non so; ma quasi una medesima costanza di animo alla precedente n’ho che raccontare. Essendo adunque questo Zenone, secondo che Valerio Massimo scrive nel terzo libro, fieramente tormentato da un tiranno chiamato Clearco, il quale, per forza di tormenti, s’ingegnava di sapere chi fossero quegli che con lui congiurati fossero nella sua morte, della quale Zenone tenuto avea consiglio; dopo alquanto, senza averne alcuni nominati, disse sé essere disposto a manifestargli quello che esso addomandava, ma essere di necessitá che alquanto in disparte si traessero. Per che, cosi da parte tiratisi, Zenone prese Clearco per l’orecchio co’ denti, né mai il lasciò, prima che tronca gliele avesse, come che egli da’ circustanti amici del tiranno ucciso fosse. «E vidi ’l buon accoglitor del quale», cioè della qualitá dell’erbe; e che esso intenda dell’erbe, si manifesta per lo filosofo nominato, il quale intorno a quelle fu maravigliosamente ammaestrato: «Dioscoride dico». Dioscoride né di che parenti né di qual cittá natio fosse, non lessi giammai; e di lui niun’altra cosa ho che dire, se non che esso compuose un libro, nel quale ordinatamente discrisse la forma di ciascuna erba, cioè come fossero fatte le frondi di quelle, come fosser fatte le loro radici, come fosse fatto il gambo e come i fiori e come i frutti di ciascuna e come il nome, e similmente la virtú di quelle. «E vidi Orfeo». Orfeo, secondo che Lattanzio, in libro Divinarum instilutionum in gentiles scrive, fu figliuolo d’Apolline e di Calliope musa, e a costui scrive Rabano, in libro Originimi, che Mercurio donò la cetera, la quale poco avanti per suo ingegno avea composta: la quale esso Orfeo si dolcemente sonò, secondo che i poeti scrivono, che egli faceva muovere le selve de’ luoghi loro, e faceva fermare il corso de’ fiumi, faceva le fiere salvatiche e crudeli diventar mansuete. Di costui, nel quarto