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publica lagrima gli fu conceduta, né alcuno uficio funebre fatto. Nella qual pertinacia assai manifestamente si dimostrò, i fiorentini tanto essere dal cognoscimento della scienzia rimoti, che fra loro niuna distinzion fosse da un vilissimo calzolaio ad un solenne poeta. Ma essi con la lor superbia rimangansi; e noi, avendo gli affanni dimostrati di Dante e il suo fine, all’altre cose che di lui, oltre alle dette, dir si possono, ci volgiamo.

XVI

FATTEZZE E COSTUMI DI DANTE

Fu il nostro poeta di mediocre statura, ed ebbe il volto lungo e il naso aquilino, le mascelle grandi, e il labbro di sotto proteso tanto, che alquanto quel di sopra avanzava; nelle spalle alquanto curvo, e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il color bruno, e i capelli e la barba crespi e neri, e sempre malinconico e pensoso. Per la qual cosa avvenne un giorno in Verona (essendo giá divulgata per tutto la fama delle sue opere, ed esso conosciuto da molti e uomini e donne) che, passando egli davanti ad una porta, dove piú donne sedevano, una di quelle pianamente, non però tanto che bene da lui e da chi con lui era non fosse udita, disse all’altre donne: — Vedete colui che va in inferno, e torna quando gli piace, e qua su reca novelle di coloro che lá giú sono! — Alla quale semplicemente una dell’altre rispose: — In veritá egli dee cosí essere: non vedi tu come egli ha la barba crespa e il color bruno per lo caldo e per lo fummo che è lá giú? — Di che Dante, perché da pura credenza venir lo sentia, sorridendo passò avanti.

Li suoi vestimenti sempre onestissimi furono, e l’abito conveniente alla maturitá, e il suo andare grave e mansueto, e ne’ domestici costumi e ne’ publici mirabilmente fu composto e civile.