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Per la qual cosa avvenne un giorno in Verona, essendo giá divulgata pertutto la fama delle sue opere, e massimamente quella parte della sua Comedia, la quale egli intitola Inferno, ed esso conosciuto da molti e uomini e donne, che, passando egli davanti a una porta dove piú donne sedevano, una di quelle pianamente, non però tanto che bene da lui e da chi con lui era non fosse udita, disse all’altre donne: — Vedete colui che va nell’inferno, e torna quando gli piace, e qua su reca novelle di coloro che lá giú sono? — Alla quale una dell’altre rispose semplicemente: — In veritá tu dèi dir vero: non vedi tu com’egli ha la barba crespa e il color bruno per lo caldo e per lo fummo che è lá giú? — Le quali parole udendo egli dir dietro a sé, e conoscendo che da pura credenza delle donne venivano, piacendogli, e quasi contento ch’esse in cotale opinione fossero, sorridendo alquanto, passò avanti.

Ne’ costumi domestici e publici mirabilmente fu ordinato e composto, e in tutti piú che alcun altro cortese e civile. Nel cibo e nel poto fu modestissimo, si in prenderlo all’ore ordinate e si in non trapassare il segno della necessitá, quel prendendo; né alcuna curiositá ebbe mai piú in uno che in uno altro: li dilicati lodava, e il piú si pasceva di grossi, oltremodo biasimando coloro, li quali gran parte del loro studio pongono e in avere le cose elette e quelle fare con somma diligenzia apparare; affermando questi cotali non mangiare per vivere, ma piú tosto vivere per mangiare.

Niuno altro fu piú vigilante di lui e negli studi e in qualunque altra sollecitudine il pugnesse; intanto che piú volte e la sua famiglia e la donna se ne dolfono, prima che, a’ suoi costumi adusate, ciò mettessero in non calere.

Rade volte, se non domandato, parlava, e quelle pesatamente e con voce conveniente alla materia di che diceva; non pertanto, lá dove si richiedeva, eloquentissimo fu e facundo, e con ottima e pronta prolazione.

Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovanezza, e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo cantatore o sonatore fu amico e ebbe sua usanza; e assai cose, da questo Boccaccio, Scritti danteschi -,