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sublime parte di quella, aecioché esso possa vedere e discernere di lontano ogni cosa emergente, e a quelle cose, che fossero avverse alla cosa la qual guarda, opporsi e trovar rimedio, per lo quale da sé le dilunghi: la qual cosa ne’ sensati uomini ottimamente fa la ragione posta nella superiore parte di noi. Oltre a questo, come il savio re pone il suo reai solio in quella parte del suo regno, nella qual conosce esser di maggior bisogno la sua presenza, aecioché per questa si tolgan via le sedizioni e i movimenti inimichevoli, fu di bisogno la ragione esser posta nel cerebro, percioché quivi è piu di pericolo che in tutto il rimanente del nostro corpo. E la ragione è, percioché nella nostra testa son gli occhi, gli orecchi, la bocca e tutti gli altri sensi del corpo, li quali con ogni istanzia nutricano il regno della ragione. E perciò, se loro vicina non fosse, potrebbon muovere cose assai dannose, dove dalla ragione sono oppresse e diminuite le forze loro. E questa sedia della ragione essere nel nostro cerebro, e perché quivi, ottimamente sotto maravigliosa Azione dimostra Virgilio nel primo dell’ Eneida, dove dice: Aeoliarn venit: hic vasto rex Aeolus antro, ecc., e, appresso a questo, in piú altri versi. È adunque nel limbo, cioè nella superior parte di questo minor mondo, la ragione, e quindi la muove la grazia salvificante in soccorso del peccatore. Il quale movimento non si dee altro intendere se non un rilevarla dallo infimo e depresso stato nel quale lungamente tenuta l’aveano l’appetito concupiscibile e irascibile, e, lei sotto i piedi delle loro scellerate operazioni tenendo, aveano occupata la sedia sua; e questo per tanto tempo, che essa, non potendo il suo oficio esercitare, era tacendo divenuta fioca, cioè nell’esser fioca dimostrava la lunghezza della sua servitudine: e, cosí rilevatala, in essa pone la grazia cooperante, e parala dinanzi allo smarrito intelletto del peccatore. E tli questo non è alcun dubbio che noi, quante volte ci ravveggiaino delle nostre disoneste operazioni, tante per divina grazia ricominciamo ad essere uomini, i quali non siamo quanto nella ignoranza de’ peccati dimoriamo: anzi, avendo