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capo xvii. 329

d’Inquisizione. «Ciò nondimeno, aggiunge, so che i Curiali mi hanno fabbricato addosso un simile processo secreto, ed è con questo che difendevano i sicari che mi hanno assalito». Scommetterei che il Grisellini ha da queste parole congetturato tutto il suo racconto.

Ridolfo Poma, negoziante di olii e simili generi, teneva fondaco a Bitonto nella Puglia e distese relazioni in tutto il regno di Napoli. Vedovo, gli restavano sei figliuoli; quattro femmine e due maschi. Delle femmine due erano monache, una in Padova, l’altra a Venezia; e due assai giovanette restavano presso le zie, poi furono messe anch’elle come educande in monastero pei maneggi di Don Onorato Imberti, vicario del vescovo di Padova e suo amico, il quale era anco maestro del minore dei due maschi, di 14 a 15 anni, per nome Ruffino; il maggiore Giambattista, ammogliato con tre figli, stanziava a Bitonto.

Peggiorati i suoi affari e ridotto a fallimento lasciò Venezia fra il maggio e il giugno per andare a Napoli a riscuotere alcuni suoi crediti. Ma giunto a Roma s’incontrò con Alessandro Franceschi prete veneziano, già suo sensale, giovane, ambizioso, intrigante, e che spinto a Roma dalla voglia di far fortuna, per darsi credito spacciavasi espatriato perchè volle osservare l’interdetto, e frequentava le anticamere del cardinal Borghese e di monsignor Metello Bichi vescovo di Soana ed auditore del papa, e che fu poi cardinale. Non ho potuto rilevare donde abbia avuto origine il progetto di assassinare Frà Paolo; ma è probabile che Ridolfo abbia esposto al