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II
Dalle vette di Suli domata
l’infedele esecrò le mie genti,
che una sede ai fuggiaschi avean data (5).
Lá, su i templi del Dio de’ redenti,
ecco il rosso stendardo dell’empio ( 6 )
elevar le sue corna lucenti.
Quei che indisse a Gardichi lo scempio (7),
quei che rise in vederlo, ha giurato
rinnovarne su Parga l’esempio.
La sua tromba suonò lo spietato;
noi la nostra, e scendemmo nell’ ira
sul terreno d’Aghiá desolato ( 8 ),
sul terren che le caste rimira
sue donzelle vendute al servaggio
e scannati i suoi prodi sospira.
Gl’infelici eran nostro lignaggio,
nostri i campi ; e a punir noi scendemmo
chi insultava al comune retaggio.
E noi donne, noi pur, combattemmo,
o accorrendo al tuonar de’ moschetti,
carche l’arme al valor provvedemmo.
La vittoria allegrò i nostri petti,
e il guerriero asciugando la fronte
giá cantava i salvati suoi tetti.
Giá le spose recavan dal fonte
un ristoro ai lor cari, e frattanto
la vendetta cantavan dell’onte.
— Ah! cessate la gioia del canto:
due fratelli il crudel m’ ha trafitto;
l’un sull’altro perironmi accanto. —
Cosi in Parga una voce d’afflitto
rompe i gridi del popol festoso
che ritorna dal vinto conflitto.
Ahi! chi piange i fratelli è il mio sposo.