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286 | lettere dal mare |
gliato come una belva. Gli si addita una zona di agguato, lontana, nelle acque avversarie: esso va e morde. È il pesce-cane delle flotte.
Una volta immerso non ha più nulla che possa farlo distinguere da un sommergibile nemico. È un periscopio, cioè una minaccia. Chi lo incontra lo combatte. Tutti lo temono e deve temere tutti. A galla può ancora fare dei segnali alle navi amiche, dire: Sono dei vostri. Ma se è visto sott’acqua, è inseguito, cannoneggiato, cacciato dalle squadriglie di ogni bandiera. Vi è contro di lui una solidarietà esasperata di navi. Esso è un persecutore perseguitato. È il maledetto. Tutti i cannoni gli abbaiano appresso. Non ha grazia da nessuno. Perciò una gran cura è messa nel combinare le rotte dei sommergibili in modo che nessuna nave amica li incontri. Se l’incontro avviene, e avviene talvolta, sta al sommergibile a sapersi salvare. L’ordine per le navi è perentorio: Addosso! Ogni sommergibile conosce l’angoscia della fuga sotto al fuoco dei suoi.
Le vie del sottomarino sono sempre deserte. Esso parte, sparisce, abbandonato e fuggito. Se al tempo fissato per il ritorno non ricompare, il radiotelegrafo lo chiama. Lo chiama per un giorno, per due giorni, lancia ad intervalli il suo nominativo, qualche lettera dell’alfabeto o qualche numero, e il monotono e angoscioso appello è sentito da tutte le navi lontane, ronza in tutti i microfoni telegrafici,