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264 | lettere dal mare |
voci monche e misteriose che lasciano supporre più che sapere quello che avviene lontano. In seguito ad una di queste, la spedizione si è mossa.
Bisogna tentare di chiudere un certo ancoraggio nemico e bloccarvi delle forze navali discesevi ultimamente dal nord. Si tratta di andare a distendere nella notte formidabili sbarramenti di mine a portata di batterie. Il carico greve issato così delicatamente a bordo della squadriglia è un carico di torpedini.
Esse nereggiano affiancate lungo i bordi. Le loro lugubri masse si allineano nell’oscurità, indefinite. Sono grandi, gonfie, ingombranti; chiudono quasi il varco fra la prua e la poppa; passando, ad ogni colpo di rollio si è gettati sulle mine e si è costretti ad appoggiarsi al loro dorso ricurvo e freddo. Sono disarmate, ma la mano, toccandole, si tiene leggera e pavida, con un senso quasi di ribrezzo. Incutono un orrore vago e istintivo. Si ha l’impressione che dormano e che si possano svegliare. E presso alle moli inquietanti si scivola guardinghi, con una cautela che somiglia al rispetto. Esse hanno una indefinibile e terribile personalità; dominano la nave con una non so qualesinistra potenza, sopita e viva. Ogni unità della squadriglia porta di che distruggere una flotta.
Le nubi che velavano il tramonto sono salite diradandosi in una moltitudine di cirri